sabato 28 novembre 2015 – ore 10.30
Il binomio cultura-economia è stato considerato dall’ortodossia accademica con sospetto fino a qualche decennio fa. Giocavano a suo sfavore l’idea che il prezzo o il denaro rappresentassero uno svilimento della cultura oppure, tra i più avveduti, che il paradigma analitico della nuova disciplina fosse ancora scientificamente inadeguato. Quarant’anni di studi e ricerche sull’economia dell’arte e della cultura hanno ribaltato tale giudizio negativo accrescendo la conoscenza di un fenomeno, la cultura, assolutamente pervasivo di ogni attività umana. In questi anni si è dimostrato che esiste una connessione tra l’ambiente culturale in cui si manifestano le attività economiche e gli effetti economici stessi. Se l’economia si sviluppa in determinati contesti culturali, allo stesso tempo anche la cultura si trova all’interno di specifici sistemi economici e con strumenti economici può essere analizzata. I principali temi di studio che hanno dominato la fase iniziale dell’economia della cultura (1966-1990) sono chiaramente connessi con la politica di conservazione e con la giustificazione dell’intervento dello Stato nell’ambito della sfera economica privata. La cosiddetta legge di Baumol o dei costi crescenti (W.J. Baumol, W.G. Bowen, Performing arts, 1966) ha rappresentato la base teorica per un crescente intervento pubblico nel campo dello spettacolo e dei beni culturali. Si avviarono le prime stime sul valore economico dei beni cultura e si affinò la tecnica della contingent valuation. Si comprese il valore dei diritti della proprietà intellettuale e le loro inadeguatezze nel settore dell’arte contemporanea e della pirateria commerciale. Piu recentemente, tuttavia, gli economisti della Cultura, recependo risultati che mostravano come uno dei “drivers” determinanti per lo sviluppo economico sia il “capitale umano” hanno cominciato ad interrogarsi sui fattori che causano e facilitano la “produzione” di Cultura. Il baricentro della ricerca si è così spostato sul mercato del lavoro artistico e le funzioni di produzione degli artisti e la formazione del capitale umano. L’analisi e la definizione dei Distretti Culturali, nelle loro varie forme, ha posto l’avvento sul valore del Capitale Umano e della cooperazione nella produzione di Cultura. Da qui l’estensione verso le industrie creative e la creatività in generale. Cultura e creatività si combinano in modi diversi a seconda delle condizioni storiche dei vari Paesi, dando luogo a modelli in parte differenti. In alcuni dominano gli aspetti tecnologici e hanno un ruolo chiave le innovazioni tecniche, in altri prevalgono gli aspetti economici relativi allo sviluppo dei mercati e del business; in certi casi gli aspetti giuridici e l’applicazione e sviluppo del copyright, in altri gli aspetti culturali, i richiami alla tradizione e alla qualità sociale. La cultura è una risorsa formidabile per promuovere lo sviluppo economico a livello locale. Si tratta normalmente di forme di sviluppo di qualità, fondato sulla sostenibilità della sua crescita. Non solo, ma anche di uno sviluppo rispettoso della diversità culturale e capace di attrarre forme di turismo culturale. Sviluppo economico, industrie culturali e creative e organizzazione industriale appaiono come importanti ambiti di applicazione dell’economia della cultura. Il Libro bianco sulla creatività (MiBAC 2008) offre una stima del valore economico delle industrie culturali e creative. Se prendiamo in considerazione l’intera filiera produttiva, il macrosettore valeva nel 2004 il 9,33% del PIL italiano e impiegava più di 2,8 milioni di lavoratori. “Negli ultimi trent’anni l’analisi economica della cultura ha accompagnato un processo internazionale di affermazione di nuovi beni e servizi scambiati su mercati molto diversi per caratteristiche e valore. Grazie ai suoi progressi analitici oggi comprendiamo meglio come funzionano i mercati dell’arte, i musei, le gallerie, i teatri d’opera, i festival e i teatri di prosa. I contributi hanno rivelato meccanismi inattesi e logiche di mercato che hanno aiutato anche in pratica a elaborare politiche di governance e di gestione sempre più efficace. L’attenzione alla produzione di cultura a sua volta ha aperto nuove vie di ricerca esplorando i meccanismi della creatività, dello sviluppo economico indotto dalle risorse culturali, delle preferenze individuali per la cultura e dell’accumulazione di cultura. Paradossalmente più gli economisti hanno cercato una loro specificità più hanno dovuto avventurarsi in campi rischiosi, dove gli esperti erano altri; i cognitivisti e i neurobiologi per la creatività, i semiologi per la teoria dei beni simbolici, i valutatori per la stima della disponibilità a pagare per i beni pubblici culturali, gli storici per l’analisi dei mercati antichi, dei suq e dei bazar, i sociologi per svelare i processi di identificazione e i comportamenti di appartenenza, i giuristi per interpretare e regolare soprattutto l’emergere progressivo e incessante dei diritti della proprietà intellettuale, i designer per interpretare le nuove trasformazioni dei prodotti della cultura materiale.”